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lunedì 25 maggio 2015

L'itinerario: Subiaco, Olevano Romano e i borghi più alti del Lazio


Era da tempo che volevo fare un giro dalle parti di Subiaco, un posto di cui ho sempre sentito parlare benissimo per diversi motivi: le strade, i panorami, le cose da vedere. Una domenica di maggio, perciò, mi è sembrato il momento giusto per togliermi questo sfizio... e quindi via con il mio CB, pieno di benzina e giubbotto più leggero, che quello di pelle ormai è nell'armadio.
Imbocco, come molte altre volte, la via Tiburtina, che in meno di mezz'ora mi porta a Tivoli. Io ormai la conosco bene (ne ho già parlato in questo altro post) ma, per chi non ci fosse mai stato, merita di sicuro una visita, per lo meno per vedere Villa d'Este e fare una passeggiata nel centro storico. Da lì, per cambiare strada rispetto al solito, non proseguo per Vicovaro ma prendo la via Empolitana che scorre pacifica, costeggiando bei paesi dove, avendo tempo, bisogna fermarsi almeno una volta. Fra questi c'è Ciciliano, con il castello dei marchesi Theodoli, che spicca in cima al borgo ed è tra i punti di maggiore attrattiva della zona. Ma anche Cerreto Laziale, suggestivo centro del XIV secolo dove fare una passeggiata tra le case è sempre un piacere. All'altezza di Cerreto, prima di arrivare a Gerano, si prende la SP47/a: l'asfalto non è il massimo, ma tra belle curve e tornanti degni delle migliori montagne si arriva poco tempo a Subiaco, passando accanto a Canterano, Rocca di Mezzo e Rocca Canterano.
Fontanile lungo la via Empolitana

Il bello di tutti questi borghi è che si può scegliere di fermarsi in uno qualsiasi e trovare comunque qualcosa di bello da vedere. Lungo la strada, i cartelli gialli che indicano le attrazioni principali si susseguono uno dietro l'altro, e lasciano un po' di amaro in bocca per non avere il tempo di andare a vedere tutto. Vabbè, bisognerà tornarci. Credo sia una promessa un po' obbligata: da qui al prossimo inverno sono sicuro che le occasioni non mi mancheranno.

Una volta a Subiaco, vista l'ora, scelgo di non fermarmi a fare un giro in centro: ho deciso di andare a visitare i due monasteri benedettini e, dato che l'orario di visita termina alle 12.30, rimando a un'altra volta la passeggiata per il centro, che ha tantissimo da offrire, essendo parte del club dei borghi più belli d'Italia. Seguo le indicazioni per i monasteri e, in pochi minuti, arrivo al monastero di Santa Scolastica, passando prima accanto ai resti della villa di Nerone, costruita intorno al 60 d.C. Per chi è appassionato di escursionismo, da Subiaco si può anche salire ai monasteri lungo un percorso a piedi, molto frequentato nei giorni festivi.
Il monastero di San Benedetto a Subiaco

Sia nel monastero di Santa Scolastica sia in quello di San Benedetto è possibile seguire visite guidate gratuite, che partono ogni mezz'ora. Il primo, l'unico superstite dei 13 fondati da San Benedetto nell'area della Valle dell'Aniene, è costruito intorno a tre chiostri in stili differenti (romanico, gotico e rinascimentale), tutti perfettamente distinguibili e molto particolari, e alla chiesa neoclassica progettata dal Quarenghi. Il secondo è un gioiello di architettura incastonato sul monte Taleo. È qui che si trova la grotta dove dove San Benedetto passò i suoi tre anni di eremitaggio, conosciuta come Sacro Speco e inserita nel fitto complesso di cappelle e ambienti che compongono il monastero su più livelli. Grandi e coloratissimi affreschi (datati dal IX al XIV secolo) riempiono ogni spazio, ed è d'obbligo fermarsi a guardare ogni angolo come un'opera d'arte a sé.

Lungo la SP45/a tra Subiaco e Jenne
Finito il momento culturale, mi rimetto il giubbotto da moto e ricomincio a ragionare in termini di curve. La zona è piena di strade pazzesche, che sono il mio obiettivo principale della giornata. Dai monasteri basta proseguire dritti verso Jenne lungo la SP45/a per trovarsi in una successione di curve strettissime incastonate tra le montagne. Dura solo una decina di chilometri, ma sembrano molti di più, per quanto ci si diverte. Da Jenne in poi, invece, la strada è sempre piacevole, ma più larga. Tutta la zona è circondata dai Monti Simbruini ed è tutelata come Parco Naturale Regionale: i panorami sono grandiosi, forse non coloratissimi come in certe zone dell'Umbria (come lungo la strada per Castelluccio di Norcia), ma comunque fantastici. Bisogna per forza fermarsi a scattare qualche foto, approfittando di un cielo un po' più limpido che illumina le carene rosse del CB in maniera favolosa.


La strada finisce agli Altipiani di Arcinazzo, una località turistica molto frequentata da motociclisti, oltre che dagli appassionati di montagna: a due passi da lì e da Subiaco, infatti, si trova il Monte Livata, che con i suoi 1.429 metri è meta di numerosissimi turisti soprattutto d'inverno, quando è imbiancato di neve.

Dagli Altipiani di Arcinazzo prendo la SP20, parte dell'itinerario enologico noto come Strada del Vino Cesanese, un progetto finalizzato a promuovere il territorio e i suoi due vini (il Cesanese docg di Piglio e il Cesanese doc di Affile), entrambi ottenuti dalla vinificazione del vitigno autoctono Cesanese. La SP20 scorre con non molte curve e con un asfalto non impeccabile fino a Piglio: non il massimo, ma i paesaggi meritano di sicuro un giro. Il vero problema è il tratto successivo, lungo la SS155: ho contato nove autovelox in pochi chilometri di strada tra Serrone e Primo Ponte, tutti ovviamente tarati sui 50km/h. Okay, si passa attraverso piccoli centri abitati e quindi la prudenza è d'obbligo... ma nove autovelox mi sembrano veramente troppi. E spero di non averne dimenticato nessuno!

A parte questi piccoli (...) inconvenienti, la strada scorre bene tra campagne e paesini, fin quando non giro a destra al bivio con la SP61a. Seguo infatti le indicazioni per Olevano Romano, altro borgo assolutamente da visitare in una giornata così. Lascio la moto all'inizio del centro storico, e da lì mi arrampico (è proprio il caso di dirlo) tra le viuzze che salgono, salgono e salgono ancora tra le case. 


Olevano Romano
La pietra è il tratto comune di Olevano: le case sono tutte in pietra e danno vita, insieme alla gigantesca cornice delle "mura ciclopiche", a un paese molto suggestivo, che sale fino al suo punto più alto, cioè la torre medievale del Castello. Da lì si gode di una vista mozzafiato a 360 gradi sui Monti Lepini a sud, la Valle del Sacco e l'inizio della Pianura Pontina, i Monti Prenestini a Ovest, i Monti Simbruini a Nord e il Monte Scalambra a Est. Bisogna salire gradini enormi per arrivare lassù, ma ne vale assolutamente la pena: la vista ripaga di ogni sforzo, garantito.


Il panorama dalla fortezza di Olevano Romano

Nel corso del giro bisogna anche trovare il tempo, almeno quello di un caffè, per Bellegra: a pochi minuti da Olevano Romano, è un altro paese frequentatissimo da motociclisti e famoso per le fantastiche vedute di cui gode. Tant'è che, appena arrivato, vengo accolto da una scritta, in stile hollywoodiano, che ricorda il soprannome di Bellegra: "Città dei panorami". E i punti panoramici non mancano, né nel centro storico né lungo la strada principale: in particolare, mi fermo a bere un caffè su una terrazza che si affaccia sulla valle sottostante, approfittando delle panchine vuote pure in un giorno di festa. Ci potrei restare delle ore, lì al sole.
Ma alla fine riparto, direzione San Vito Romano e poi Capranica Prenestina. Non mi fermo perché si è fatta già una certa ora, ma sono altri due centri dove di sicuro tornerò. Entrambi sono arroccati in posizione panoramica rispetto alla Valle del Sacco, che dominano dall'alto tra boschi di castagni e campagne coltivate. Capranica, in particolare, si trova sul punto più alto dei Monti Prenestini e fa concorrenza a Guadagnolo, poco distante, il paese più alto del Lazio. Mi viene in mente di allungare di 10km il mio itinerario e salire fin lassù, ma il cielo non più limpidissimo mi consiglia di lasciar perdere: ci tornerò in una giornata senza nuvole né foschia, per approfittare di una delle viste più impressionanti di tutta la Regione.
Lungo la Strada del Vino Cesanese

La strada mi porta fino a Palestrina, l'antica Praeneste che dà il nome alla via Prenestina: è un altro centro che conosco bene e dove quindi non mi fermo, anche se consiglio a tutti di prendersi del tempo per visitarlo. Per gli appassionati di archeologia è d'obbligo un passaggio per il percorso archeologico "Archeopalestrina", che attraversa tutto il centro storico da Piazza della Pace alla Porta del Sole, passando per l'antico ghetto, le mura, il Tempio della Fortuna Primigenia e altri punti d'interesse.
Da Palestrina si possono scegliere varie strade. Per chi torna a Roma c'è la Prenestina, che in tre quarti d'ora (ma solo quando non c'è traffico) riporta verso la Capitale attraversando la periferia. Cerco un itinerario con qualche pretesa in più, e allora imbocco la via Pedemontana verso Gallicano nel Lazio e poi la SP51/a, che torna alle porte di Tivoli. In questo modo approfitto di un altro po' di strada panoramica, tra boschi verdissimi che mi accompagnano dove il mio itinerario era iniziato. Non c'è molto da vedere lungo questo percorso, ma vale la pena lasciarsi portare dalla moto tra i colori della prima parte della primavera. Poi, una volta tornato sulla Tiburtina, devo solo sgusciare in mezzo al solito traffico e tornare a casa.

L'itinerario è di media lunghezza: siamo intorno ai 180km, tutti percorsi in strade molto piacevoli sia dal punto di vista del paesaggio sia per quanto riguarda la guida della moto. La particolarità è che, a parte alcune mete fisse e praticamente obbligate (come Subiaco e Olevano Romano), si può scegliere senza timore di sbagliare altre soste, più o meno lunghe a seconda del tempo a disposizione. Due giorni sono l'ideale, se si vuole anche fare qualche escursione o visitare un paio di paesi in più. L'asfalto è buono quasi ovunque, a parte alcuni tratti meno curati ma che, comunque, non rendono il percorso difficile per nessuna moto. Eviterei solo il periodo invernale, quando ho qualche dubbio sulla tenuta delle strade e sul pericolo di ghiaccio, soprattutto di mattina. Eccezionalmente non mi esprimo sulla gastronomia perché non ho avuto modo di sperimentare piatti dei posti dove sono stato: se qualcuno ha consigli su ristoranti/trattorie/paninari da provare, sarò felicissimo di tornare per seguirli!






venerdì 1 maggio 2015

C'era una volta la mitica YBR

Era il 2005, io ancora giravo con il mio cinquantino e pensavo già alla prima moto.
Non ero e non sono uno smanettone, quindi i sogni da sedicenni come l'intramontabile RS125 o la Cagiva Mito non mi sfiorarono nemmeno.
Ero già un tipo un po' alternativo, uno di quelli affascinati da ciò che agli altri non piace. E, col senno di poi, non posso dare torto a nessuno, se la Yamaha YBR125 non piaceva ad altri che a me. Era un pezzo di ferro con poche pretese, ma da quando la vidi capii subito che sarebbe stata la mia moto: quella con cui avrei imparato a mettere e scalare le marce, e quella con cui mi sarei avventurato per le prime grandi strade della mia vita.

Era veramente uno schifo, quella moto. Non arrivava neanche ai cento all'ora. Aveva cali di potenza imbarazzanti e in salita bisognava mettere la seconda, altrimenti si bloccava a metà strada. Ma era la mia prima moto, e per me era epica. Lo è ancora, a dire la verità: quando ci ripenso, sento la nostalgia che si prova quando si ripensa al primo amore. E, anche se era uno schifo, la mia moto era davvero tanta roba. A un certo punto ci misi pure il bauletto - roba da sfigati, sono perfettamente d'accordo, ma non me ne poteva fregare di meno. Il mio spirito è sempre stato questo.
L'ho tenuta quattro anni e mi ha portato in giro per circa 27.000km. Fatti quasi tutti nell'ultimo anno, quando ormai avevo preso il via e aspettavo solo la domenica per scappare per le strade della mia terra. Prima di allora, non ero un grande "viaggiatore": complici anche le (giuste) paure dei miei, non mi ero mai allontanato dalla mia zona. Poi, sempre insieme a un mio amico con uno Sportcity 200 che ancora gira allegramente, cominciammo a spingerci verso paesi nuovi e vie sconosciute, e mi resi conto che era ciò che mi piaceva di più. Capii che era il mio modo per avere un po' di libertà dalla regolarità di tutti i giorni - e lo è ancora, quando innesto la prima e butto giù la visiera nelle giornate in cui c'è un bel sole.

Una volta, era marzo, partimmo verso le dieci di mattina, direzione Rocca Sinibalda. Arrivati alla svolta che dalla Salaria ci avrebbe portato al borgo, ci dicemmo che non sarebbe stato male arrivare fino a Cittaducale, visto che se ne parlava da un po'. E, passeggiando proprio per i vicoli di Cittaducale, e parlando dei cartelli stradali visti dopo Rieti, arrivammo alla conclusione che Amatrice non era poi così lontana. E allora via, superando Antrodoco e le gole del Velino. L'ultimo tratto è in salita, o forse una specie di falsopiano: la mia YBR rallentò, e rallentò ancora, fino quasi a spegnersi. "C***o", mi dissi, "guarda te se devo farmela a motore spento in discesa fino a casa..."
E invece la spensi, ripartì e arrivammo ad Amatrice, intorno alle due, in tempo per una sontuosa amatriciana e delle foto pazzesche con i Monti della Laga lì dietro, a fare da sfondo. Al ritorno ci accompagnò un cielo grigio da far paura, ma la giornata era stata troppo bella perché piovesse.

Un'altra volta decidemmo di arrampicarci fino a Rocca di Papa per andare alla sagra della polenta. Bel paese, bella festa e cibo grandioso, ma un freddo cane come non si sentiva da tempo. Che poi, quando faceva freddo, la mia YBR non partiva mai... c'era la pedalina oltre allo starter elettronico, ma spesso non funzionava neanche quella. E che si faceva in quei casi? Ci si buttava a razzo in discesa, seconda innestata e frizione tirata, poi si lasciava la frizione e si sperava si accendesse. Feci così anche quella volta: nessun problema, tranne la strada gelata, ma andava benissimo così. E salimmo fino ai Campi di Annibale, in cima alla montagna, con una piccola cascata di ghiaccio e addirittura la neve. Una delle migliori foto-cartolina che abbia mai scattato.

C'era una volta la mitica YBR, eh già. E la prima moto è come il primo amore: magari è sbagliata, magari non è ancora quella giusta, ma non puoi che ricordarla con tanta nostalgia. Era uno spettacolo, la mia YBR. Certo, poi ho avuto roba molto più grande che mi ha portato in posti che con il 125 non mi sarei neanche potuto sognare, ma nel suo piccolo era veramente tanta roba. E mi ha insegnato a guardare alla strada come a una grandiosa opportunità di divertirsi e di uscire dalle strade di tutti i giorni. Sarà per questo che, da quando ho cominciato a esplorare i dintorni, passare la domenica a casa mi va sempre più stretto.
E me ne frego anche del freddo, se c'è una bella strada.

Auguro una YBR a tutti i neomotociclisti. Altro che i missili depotenziati, una moto così è tutta un'altra cosa.